Il Centro Scaligero degli Studi Danteschi e della Cultura Internazionale da anni segue tutte le forme d’arte che ruotano attorno alla Divina Commedia. Molti artisti negli anni hanno tratto ispirazione dell’opera di Dante, quadri di grande impatto emotivo.

Dante e l'arte

Achille Incerti - La biografia

ACHILLE INCERTI (1907-1988)

Achille Incerti nasce il 22 gennaio 1907 a Zurigo, da genitori emigrati, dove rimane fino all'età di nove anni.

La sua esistenza particolare, con passaggi alterni tra malattia, ripresa fisica e successo pittorico, sembra assecondare la concezione che vedeva la tipica vita dell'artista messo duramente alla prova, ma con una vocazione tanto forte da risultare infine vincente.

In questa ottica la sua mancata preparazione accademica diventa motivo ricorrente e significativo per interpretare il suo percorso pittorico: ecco allora Incerti pittore naif, primitivo, dalla vita irregolare, bravo pittore la cui immagine emerge anche dall'opera pittorica.

A metà degli anni Sessanta, quando il suo nome comincia a circolare, si consolida, dunque, l'interpretazione di Incerti come terzo artista "primitivo" reggiano e analogo, per esperienze di vita a Ligabue e a Rovesti(1). Per Incerti e Ligabue si sottolinea la comune nascita a Zurigo, luogo dove confluivano gli emigranti, mentre altre assonanze per l'immediatezza espressiva si individuano tra i tre artisti attivi sul territorio di Reggio Emilia. Di Ligabue è evidenziata la maggiore efficacia espressiva, mentre di Incerti si indica come particolarmente avvincente la vita da vagabondo inquieto tra Reggio Emilia e Milano, passato dalla malattia e dal sanatorio alla vincita milionaria alla Sisal, che ribalta la sorte della sua vita.

Altri aneddoti riguardanti la sua storia colpiscono la fantasia popolare, in particolare la supposta nascita in treno, ripresa da alcuni giornali del periodo(2) e poi erroneamente riportata anche da Franco Solmi nella monografia dedicata al pittore, pubblicata nel 1966(3).

Si tratta in genere di interpretazioni smentite dall'analisi dei dipinti e che non trovano riscontro in un'inedita e frammentaria autobiografia(4).

Se si dedica con una certa metodicità alla pittura nel periodo in cui vive all'interno del sanatorio, alla metà degli anni Quaranta, più tardi intuisce che non può affrontare determinate tematiche con una scrittura dialettale. Ricerca quindi una nuova sintassi, capace di consigliargli di articolare in maniera più appropriata il discorso pittorico. Il suo desiderio è quello di affrontare la propria personalità al di sopra di correnti e scuole, prescindendo da programmi o da enunciazioni.

"E' la strada più accidentata nella quale sento la solitudine, perché mi accorgo che tutti gli altri se ne vanno in gruppo e confabulano fra di loro, ma è una solitudine solo apparente, solitudine dell'artista ma non dell'uomo che cerca il rapporto diretto con la realtà, il contatto con l'uomo della strada, la comprensione dell'uomo semplice", scriveva Achille Incerti nel 1959(5).

Per tale ragione la scrittura pittorica da lui utilizzata a partire dagli anni Sessanta è difficilmente inquadrabile e sembra riflettere il suo assunto, quello cioè di percorrere, da solo, una strada che prende avvio dal suo coinvolgimento nella sofferenza degli uomini conosciuti in sanatorio, tutti animati da una forte volontà di vivere. Con questo spirito affronta le grandi composizioni nelle quali si fa interprete del malessere della città, della civiltà proiettata verso il futuro. Il linguaggio dell'astrazione e del simbolismo, entrambi poggianti su una base realistica, gli risultano alla fine congeniali per mettere in atto ciò che intende esprimere.

Tornando alla vita del pittore, già in contesto di guerra tra Germania, Inghilterra, Francia e Russia, con il pane e gli alimenti razionati, la famiglia Incerti si trasferisce, nel 1915, a Reggio Emilia, città di origine del padre.

La madre muore poco dopo l'arrivo in Italia e Achille è accolto, insieme al fratello, presso il Pio Istituto Artigianelli gestito da donne anziane pagate da enti di assistenza e là vive alcuni anni, parlando inizialmente solo tedesco e accettando a fatica le rigide norme dell'istituto. Le finestre con le sbarre entrano così nel suo immaginario.

Il padre, nel frattempo, ha forti problemi economici, fatica a mantenere l'impegno di versare i soldi della retta dei figli, tanto che Achille è costretto a lavorare come garzone meccanico, come boaro e come facchino.

Nel 1921, ancora ospite degli Artigianelli, decide di scappare insieme al fratello e si dirige dapprima verso Modena e poi verso Genova, ma la fuga ha breve durata perchè i due bambini sono riportati in collegio dalle guardie regie.

Nel 1923, ormai sedicenne, si reca a Milano, dove una zia gli ha trovato un posto di lavoro come aiuto decoratore.

Vive, in questa fase, momenti di forte difficoltà: i lavori di decoratore e di imbianchino erano, infatti, stagionali, e durante i lunghi mesi invernali i dipendenti venivano licenziati.

Gli anni milanesi sono per lui indubbiamente formativi, poichè ha occasione di partecipare ad alcuni incontri con esponenti del partito socialista, fra i quali Turati e Treves, che lo aiutano a maturare quella forte coscienza sociale che si evidenzierà nel suo lavoro pittorico successivo, in particolare nelle opere a partire dagli anni Sessanta.

Nel 1925 l'antimilitarista Incerti si rifugia in Francia, dove lavora come decoratore a Cannes e Mentone. Fermato perchè privo di documenti, al ritorno in patria è rinchiuso per due mesi nel carcere di Reggio, per non aver risposto alla chiamata alle armi. Nel 1927 presta il servizio militare presso il corpo dei bersaglieri e successivamente ritorna a Milano dove riprende il lavoro di decoratore, che lo impegna ora a tempo pieno. Oltre che chiese, soffitti di palazzi, ville in Brianza, inizia a decorare anche i mobili e apre un proprio laboratorio che aveva sede a Porta Genova, mettendo a punto una abilità decorativa che si affina sempre più.

Nell'autobiografia racconta che in questi anni ha modo di conoscere Toscanini, Pollanti, il realizzatore del manifesto della marcia su Roma e Mario Sironi, da lui giudicato "misantropo e vegetariano"(6). Ricorda anche che Filippo de Pisis, da poco rientrato da Parigi, era di casa alla trattoria "Il pidocchio" in via Sant'Eufemia dove lo stesso Incerti mangiava. Il locale era frequentato da ebrei, da artisti come Carlo Carrà, dal professore Salvadori che insegnava a Brera, da scrittori, modelle di pittori, intellettuali che frequentavano anche il caffè Biffi sotto la Galleria Vittorio Emanuele. Pur essendo estraneo a questi gruppi, ne ascoltava affascinato le discussioni.

Sempre dall'autobiografia apprendiamo che Incerti dipinge nel cortile della trattoria una "marina con barche", cercando di ottenere uno sfondato prospettico sulla base delle conoscenze acquisite dallo scenografo Galli del Teatro Lirico, al quale aveva imbiancato la casa.

Tutte queste notizie consentono di chiarire che la sua prima formazione avviene a contatto con l'ambiente lombardo, con gli intellettuali impegnati e la borghesia milanese.

Ma giunge la seconda guerra mondiale.

Chiamato alle armi, è presto congedato per problemi di salute. A Lodi, nel 1943, è fatto prigioniero dai tedeschi e condotto a Rovereto, sulla strada che porta ai campi di concentramento. Riesce a scappare verso il confine con la Svizzera, ma è fermato e mandato indietro. Cerca contatti con i partigiani della provincia di Varese, ma è nuovamente arrestato. Comincia la fase di difficoltà, i lunghi anni della malattia.

 

L'ambiente milanese tra Trenta e Quaranta

Se lo stile di Incerti è forse inizialmente improvvisato, ben presto si preoccupa di dare una struttura coerente alle proprie immagini e di caratterizzarle, negli anni, con scritture pittoriche differenti, segno indubbio di una sua volontà di crescita.

A Milano, negli anni Trenta, si manifesta ancora il retaggio della pittura futurista a fianco dei seguaci di Novecento e vi spiccavano per originalità creativa di Carlo Carrà e Mario Sironi, tutte caratteristiche che però non troviamo nella  "Natura morta con arance" consevata nei Musei Civici di Reggio Emilia, dipinta da Incerti nel 1930 e ascrivibile alla tendenza post impressionista ancora molto in voga in Italia.

Questo è il solo esempio finora noto dei dipinti eseguiti nel corso di quel decennio e non ci consente di approfondire ulteriormente le conoscenze della sua formazione artistica fino a quel tempo.

Nel 1932 si tiene la prima mostra collettiva alla Galleria del Milione dei pittori di"Corrente", che avevano una profonda influenza sull'indirizzo artistico del dopoguerra. Alla mostra partecipano Aligi Sassu, Giacomo Manzù, Fiorenzo Tomea, Gianni Cortese e Renato Birolli e i temi presentati sono tratti dalla vita quotidiana. Nel contempo all'interno del gruppo matura quella presa di coscienza che avrebbe portato a posizioni antifasciste. Il gruppo milanese si allarga tra il 1934 e 1935 e vede l'adesione di Minieco, Valenti, Badodi e Fontana; oltre a Persico si allineano su tali posizioni anche Enzo Paci, Vittorio Sereni, Raffaele de Grada, tutti allievi di Antonio Banfi(7).

Incerti sembra interessato a tale linguaggio pittorico e alle motivazioni di questi artisti, ed infatti le sue opere successive sono inquadrabili nell'ambito di un realismo espressionista sorretto da una forte connotazione sociale.

Sono anche gli anni in cui Incerti frequenta l'ambiente di Brera, conosce Raffaele de Grada e individua una propria linea pittorica, anche se realizza poche opere prima della metà degli anni Quaranta, soprattutto "Nature morte", definite con segno realistico ed espressivo.

 

Il tema del sanatorio

Incerti nel 1944 entra nel sanatorio di Prasomaso, in Valtellina, poi nel 1945 è ricoverato in quello di Garbagnate, dove rimane fino al 1952, vivendo l'esperienza come perdita di identità, perchè gli ammalati erano considerati un numero.

La suddivisione dei settori del sanatorio, come si evince dalle sue immagini, è il tema ricorrente; il reparto maschile e quello femminile, quello per i medici e per gli infermieri, i refettori, la pineta (soggetto più volte ripreso) diventano simbolo di segregazione, di separazione, di incomunicabilità.

Il mondo sembra chiudersi qui; ovunque si incontrano sbarre, che diventano da questo momento una costante delle sue raffigurazioni e riecheggiano anche un'angosciosa esperienza infantile: lo smarrimento per due giorni e due notti in un bosco della Svizzera.

Incerti comincia a dipingere in questi anni, inizialmente quasi di nascosto, come esperienza privata e liberatoria.

La malattia rende difficoltoso l'atto di dipingere; le opere hanno per soggetto solo la vita quotidiana all'interno del sanatorio, non però con intezione narrativa, quasi cronachistica, ma è come se l'artista si estraniasse dalla realtà, osservandola dall'esterno.

Il punto di osservazione, infatti, è davvero particolare: Incerti descrive ciò che lo circonda dall'alto, come se vedesse le scene da una impalcatura, ma se questa posizione tende a farlo apparire distante dall'ambiente che racconta attraverso le immagini, la presenza di una selva fitta di tronchi rivela che, in realtà, si sente dietro le sbarre di una finestra.

I dipinti sono caratterizzati, inoltre, dall'assenza del cielo, mentre l'area che descrive è circoscritta, con profondità illusoria e lo stesso accade per le scene dipinte all'interno dei reparti del sanatorio, con linee prospettiche che fungono da generiche indicazioni spaziali.

Queste visioni hanno un punto di partenza realistico, ma la stilizzazione delle figure rivela la suggestione delle immagini di Corrente, l'urgenza di trasmettere un messaggio simbolico e non la semplice descrizione di quella realtà.

La pineta del sanatorio diventa  il motivo ricorrente di queste opere, il fondale scenico su cui si svolgono i momenti di vita sociale (è parlatorio, luogo di processioni, di incontri, ma anche di fughe) e contemporaneamento schermo delle proiezioni angosciose dell'artista.

Il colore, in questi dipinti, è una sorta di caratteristica ritornante e che funge da denominatore comune dell'interna sequenza di immagini. Incerti utilizza toni prossimi al blu o al nero, stesi in modo immediato per abbozzare le sagome delle figure. Ne risultano dipinti dai toni scuri, come se fosse sempre notte, che rappresentano il sintomo di uno stato d'animo fatto di attese senza fine, di isolamento fisico e psicologico.

Con questa scrittura veloce e sommaria Incerti vuole comunicare, anche nell'atto del dipingere, che non c'è spazio per il descrittivo o il superfluo, ma solo per la struttura della forma.

Il tema del sanatorio non si esaurisce con la fine del ricovero a Garbagnate, nel 1952: per alcuni anni Incerti continua a percepire i fantasmi della malattia e a rappresentare quinte di piante su fondali neri, densi di ombre e di presenze inquietanti, a rievocare come in un incubo notturno momenti e luoghi del sanatorio. Lo vediamo in il Teatrino del sanatorio (1956), in cui raffigura un momento di svago della vita dei ricoverati, descritti in modo sommario con una fitta serie di punti colorati, stesura che lascia presagire la forte sintesi pittorica degli anni successi.

Anche I tre mondi (1956) è emblematico di questa fase: rappresenta il mondo dei malati, uomini e donne, separato da una strada centrale percorsa solo da medici e infermieri. Incerti mostra alcuni uomini che tentano di superare la rete divisoria, altri che salutano, che cercano di attirare l'attenzione delle donne nascoste da reti, siepi, alberi. Il dipinto trasmette angosciosamente il senso di separazione entro il quale erano costretti i degenti del sanatorio, mostra la sofferenza degli uomini, il loro assillante desiderio di vita e la scarsa luce presente sembra alludere al filo sottile della speranza mai spenta.

La partita della vita (1966), è un altro dipinto particolarmente interessante, poichè reca memoria dei lunghi anni a Garbagnate. In esso l'artista mette di fronte, nella pineta che ben conosce, il mondo dei vivi con il mondo dei morti raffigurati come scheletri danzanti, mentre al centro si gioca a carte il destino del malato, reminiscenza dell'ansia  che accompagnava i degenti sugli esiti possibili della malattia.

La serie dei sanatori è chiusa da Il vortice della speranza, realizzata alcuni anni dopo, nel 1968, quando l'artista vive ormai una nuova fase creativa. Incerti dipinge una spirale, caratterizzata dall'idea del movimento, dove si intravedono ancora tronchi scuri alternati ai malati, ma ora i colori trapassano dal blu verso l'azzurro, e questa sfera che pare pulsare di vita ha come fondale un tappeto pieno di fiori di vivaci colori.

 

Secondo periodo milanese (1951-1953)

Alla fine del 1951 Achille Incerti è nuovamente a Milano, affitta una stanza in viale Zara e la sera frequenta un corso di disegno all'Accademia di Brera. Incerti, quarantenne, fatica ad essere ammesso ai corsi, ma il professor Salvadori, che aveva conosciuto negli anni Trenta lo accoglie alla scuola di nudo da lui diretta.
Rienta rapidamente in contatto con l'ambiente artistico milanese, che nel dopoguerra ha il suo punto di ritrovo nel quartiere di Brera e al caffè Giamaica. Conosce diversi pittori, fra cui Scanavino, il critico De Micheli, oltre ad una serie di intellettuali frequentatori del Giamaica; in questa fase dipinge di continuo, assecondando un forte desiderio di riuscire.
Una ricaduta lo riporta per un breve periodo all'interno delle mura del sanatorio, dove gli lasciano ora uno spazio affinchè possa dipingere. La sua pittura, dal timbro espressionista, presenta caratteri di immediatezza, che la rendono apprezzata perché comunica passione e impegno.
Una constistente vincita al Totocalcio, nel 1953, distrae l'attenzione dal suo lavoro pittorico per portarla sul "personaggio" Incerti e contribusce all'insorgere di una interpretazione mitizzata delle sue vicende biografiche anteriori.
Il nuovo tenore di vita favorito dall'arricchimento inaspettato consente ad Incerti di viaggiare e questa è l'occasione per conoscere importanti figure della cultura, fra cui Jean Cocteau, incontrato in Liguria in occasione della inaugurazione di mostre di artisti americani.

 

Gli anni a Reggio Emilia per l'impegno sociale

Nel 1953 decide di fare ritorno definitvo a Reggio Emilia, dove vive per un certo periodo all'Hotel Posta e lavora in un solaio, mentre in seguito è ospitato dal pittore Remo Tamagnini. Nel 1954 acquista una casa in via Toschi, con lo studio annesso.
Continua a confrontarsi con le tecniche della pittura e in questa fase dipinge alcune vedute della città (Via Toschi, la Chiesa del Cristo) con uno stile tradizionale contrassegnato da una pennellata compendiaria.
Sempre nel 1953, in più tele, racconta la vita delle donne di Borgo Emilia, un quartiere degradato della città, manifestando attenzione nei confronti di un'umanità sofferente: sono donne che si sorreggono l'un l'altra, che si improvvisano musiciste per guadagnare qualche soldo, raffigurate in miseri ambienti. Picasso e il periodo blu e rosa sembra essere un possibile avvio per questi dipinti, ma per la scelta del soggetto e anche la resa pittorica, in particolare per l'intensa partecipazione emotiva del pittore, essi rivelano la conoscenza del realismo post bellico, particolarmente seguito a Reggio Emilia.
Gli anni Cinquanta, com'è noto, sono caratterizatida un'intensa lotta politica. Nel 1948 il Partito Comunista, passato all'opposizione, si contrappone alla coalizione di governo e tale posizione si riflette sull'arte italiana. Molti artisti si schierano a sinistra. A Reggio Emilia gli echi di questa situazione si manifestano in occasione dell'occupazione delle Officine Reggiane, tra 1950 e 1952, durante la quale diversi artisti seguono da vicino questi fatti, mossi da un forte impegno sociale(8).

Nel 1955 si tiene la sua prima mostra a Milano, alla Galleria Gianferrari, recensita in questi termini sul "Corriere della Sera" da Leonardo Borgese: "(...) Si capisce subito che Incerti è un autodidatta; ma d'altra parte, la bravura nel tirare e unire il colore, nel campire le superfici, nel dare bei toni generali uguali e molto intensi, ci sembra ben apprezzabile e rivela quell'antico buon mestiere così necessario anche alla pittura non decorativa e soprattutto alla non dilettantesca (...). Incerti ha quel che si dice un mondo, un contenuto"(9).
Un dipinto realizzato nel 1955 ha per soggetto proprio la Galleria Gianferrari, spazio da lui raffigurato con toni scuri, dove si intravedevano alcuni dipinti alle pareti.
La sequenza delle opere di Incerti è, molto spesso, connessa ai passaggi della sua vita; negli anni successivi infatti muta completamente la gamma cromatica e la scrittura pittorica si fa progressivamente più complessa.
Nel 1956 ha occasione di esporre le sue opere alla Galleria San Marco, in via Margutta, a Roma, ottendendo un buon successo di pubblico e critica. Tra le persone che visitano la mostra conosce Cesare Zavattini, e attraverso di lui Vittorio de Sica e Federico Fellini. Con Zavattini in particolare si instaura un legame di amicizia; Incerti si reca a trovarlo a Luzzara e, grazie a lui, nel 1968 partecipa al film I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini, interpretando la parte del ferroviere.

 

La vita sociale a Reggio Emilia

Gli anni Cinquanta a Reggio Emilia sono caratterizzati da un'arte prevalentemente legata al Realismo socialista. Nel 1956 è istituito il "Premio Città del Tricolore", promosso dall'Amministrazione Comunale, un concorso regionale di pittura che vede subito una forte partecipazione degli artisti, fra i quali Achille Incerti. Altri premi di pittura erano stati organizzati negli anni precedenti, con un'impostazione non dissimile: nel 1948 il "Premio Suzzara" e nel 1953 il "Premio Sant'Ilario". Entrambi i Premi rappresentano una importante fonte di aggiornamento per gli artisti, oltre a porsi come fine quello di avvicinare la produzione artistica alla gente, al popolo(10).
Il "Premio Città del Tricolore" suscita fin dal primo momento vivaci polemiche, e anche se sono segnalati per bravura alcuni artisti che tesimoniano l'apertura "a qualsiasi tendenza ed estetica" come riportato in catalogo(11), un gruppo di pittori tra i quali Tamagnini, Incerti, Novellini ed Ettore denunciano irregolarità nelle rpocedure e la sostituzione in commissione di Treccani con Pizzinato senza darne anticipata comunicazione.
In questi anni Incerti apre lo studio in via Toschi agli amici e a chi è interessato all'arte e, per un breve momento di accosta all'informale, "pittura di moda", come la definisce.
Al corrente di ciò che accadeva in America, in particolare delle ricerche dell'espressionismo astratto realizza opere che, a partire da I naufragi ispirato all'affondamento dell'Andrea Doria  (1956) , sono caratterizzate da un colore maggiormente materico e da un segno veloce e sommario.
Su questa linea seguono in breve anche Il baratro e Città di notte , eseguiti intorno al 1957. Tale fase, tuttavia, ha durata breve, perchè Incerti si sente vincolato alla realtà,ad un tipo di impostazione che gli permetta di fare, attraversp i quadri, un discorso collegato all'esperienza esistenziale. Queste immagini, dalla nova resa pittorica, sono comunque funzionali a tramutare l'impiantorealistico che caratterizza il suo lavoro in un linguaggio di impronta simbolista, attraverso il quale  continuare la sua riflessione sul presente.

Il mondo tecologico (1958) segua un altro momento di passaggio : con una stesura piatta, Incerti ci presenta una serie di scienziati, raffigurati come sagome che indossano camici caratterizzati da teste fortemente allungate. Appare evidente l'intenzione simbolica di tale raffigurazione, con la quale Incerti sembra rivelare la suggestione ricevutadalle immagini di Frankestin, il film di Whales del 1931, in cui Boris Karloff interpretava l'essere dalla fronte altissima, creato come prototipo di un uomo artificiale dalla intelligenza superiore, ma sfuggita al controllo del suo creatore.
Anche per Incerti la scienza (e dunque lo scienziato) fa progredire il mondo, ma se male utilizzataa contribuisce a minacciarlo e a distruggerlo, come si evince dai titoli caratterizzati diversi suoi lavori successivi.
Nelle ricerche alla fine degli Cinquanta emerge lo sforzo di trovare una sintesi personale tra l'istintività della sua pittura iniziale e le diverse esperienze figurative conosciute. Emergono dunque la suggestione ricevuta dalla pittura metafisica, in particolare alla riduzione delle figure umane a manichini che ben si presentano a denunciare la condizione di alienazione degli individui.


A Reggio Emilia l'incontro con i pittori locali non pare instaurarsi con serenità e Incerti avverte un forte isolamento, poichè, come abbiamo sopra indicato, la scena artistica era dominata dal realismo socialista e dai pittori che ad esso si ispiravano.
Per contrastare questa situazione nella casa in via Toschi il pittore dà inizio ad una serie di appuntamenti culturali, alternativi rispetto ai tanti altri circoli o punti di incontro per artisti organizzati in città, ospitando intellettuali, ma anche professionisti attenti ai fatti culturali, con incontri che si succedono con regolarità per alcuni anni.
Il suo studio è inoltre aperto al pubblico. La cosa desta curiosità, tanto che un articolo apparso su "Paese Sera" nel 1957 è interamente dedicato a questa casa nel pieno centro storico reggiano(12). Il giornalista racconta di esservi entrato e di non aver trovato il pittore, ma diverse persone intente ad osservare opere appese alle pareti o il dipinto ancora sul cavalletto.
In questo periodo Incerti ha modo di ampliare anche le sue conoscenze nel mondo artistico nazionale e internazionale e di ospitare, fra gli altri artisti Sebastian Matta ed Emilio Vedova.  La mostra personale del 1964 a Modena, presso la Galleria La Secchia(13), gli offre l'occasione di conoscere Franco Solmi, autore della prima monografia della sua opera, pubblicata nel 1966.

La fase pittorica degli anni Sessanta è indubbiamente la più interessante, ampia, complessa di riferimenti, tanto che pare legittimo chiedersi come mai una parte della critica perseveri a considerare ancora Incerti un autore "naif".
Probabilmente quella di dare a un autore una etichetta senza più preoccuparsi di verificarne successivamente i contenuti è una regola invalsa in quegli anni e, nel caso di Incerti, è anche motivo di fraintendimento, poichè  non consente di coglierne le trasformazioni del linguaggio e il rinnovamento delle tematiche affrontate alla sua pittura.
Gli anni Sessanta sono caratterizzati in Italia dalla presenza della pittura astratta e informale e Incerti si sente indotto a ritentare la vita del linguaggio non realistico, su cui si era sporadicamente esercitato nel corso del decennio precedente, ma non riuscirà mai a fare il passo decisivo verso l'eliminazione del referente reale. Tuttavia il suo stile si modifca in maniera avvertibile nel giro di breve tempo, poichè l'astrazione si innesta su un discorso figurativo, analogamente a quanto fanno gli artisti del naturalismo informale bolognese e in parallelo con alcuni dei realisti reggiani che nei medesimi anni fanno proprio il linguaggio espressivo.
Va infatti ricordatto che già nel 1959 un gruppo di artisti locali (fra cui Ruspaggiari, Bergomi, Squarza, Gerra), per contestare il "Premio Città del Tricolore", affitta un negozio nell'isolato San Rocco presso la sala mostre comunale e vi organizza una contro mostra dedicata all'astrazione, che ha successo di pubblico e di critica.
Già nel dipinto I legulei (1961) si avverte il passaggio di Incerti a nuove tematiche, in cui le immagine si fanno metaforiche e alludono a situazioni che hanno un valore universale.
I dipinti successivi si trasformano in visioni ardite, spesso con forme piatte costruite geometricamente e attente all'equilibrio formale, in cui il movimento è suggerito con effetti quasi optical.
Lo scopo è di dare vita a una pittura-manifesto, in cui si dedicano la corsa degli armamenti, i problemi sociali ingenerati delle nuove logiche economiche, l'urbanizzazione selvaggia, la distruzione della natura, affrontando dunque con largo anticipo tematiche oggi ampiamente dibattute.
Incerti si esprime per metafore e per immagini simboliche, come vediamo ad esempio in L'equilibrio del terrore, dove compare un fondale che a prima vista sembra astratto, ma che in realtà è composto da migliaia di piccoli teschi. Allo stesso modo in l'Eclissi, enorme palla che pare infuocata, realizzata con i colori del prisma del sole -giallo rosso verde- , si coglie ad una visione ravvicinata una sorta di esplosione di corpi e di volti umani circondati da tronchi di alberi che si trasformano in bare.
In Ieri, oggi, domani (1965) rappresenta un giardino pubblico con piantr dai colori vivaci, enfaticamente fiorite, dove si incontrano persone appartenenti a generazioni diverse. Il punto di vista dell'artista, attraverso il quale descrive la scena, è ancora una volta dall'alto, ma stavolta esso appare funzionale a cogliere meglio l'avanzare delle costruzioni in cemento, che paiono invadere e quasi soffocare lo spazio naturale.
Un tema analogo è presente in L'urlo (1966), dipinto in forma circolare, che rappresenta una sorta di vortice fatto di palazzi, di grattacieli e di torri cittadine e rivela una raggiunta capacità di organizzare illusionisticamente lo spazio al fine di suggerire il movimento spirale.
I dipinti incentrati sul tema della città si succedono ininterrottamente dalla metà degli anni Sessanta puntando l'accento sulla trasformazione degli abitanti in autonomi e sull'annullamento della natura, rivelando una sensibilità e uno spirito ecologista in forte anticipo sui tempi.

 

I ritratti

Alla ritrattistica Incerti si dedica, a più riprese, fin dagli anni Cinquanta e in essa si può seguire l'evolversi della sua scrittura pittorica.
Il compagno di sanatorio, dipinto intorno al 1955, è infatti ancora dentro la tradizione della ritrattistica realistica, ma nei successivi compare la suggestione del cubismo, con l'analisi e la scomposizione della forma, con l'eco delle maschere negre, o con la resa della fisionomia attraverso pochi tratti del volto.
La sua ritrattistica si consolida poi in forma dai controrni sinuosi ed eleganti, con i quali delinea particolarmente i volti femminili, accentuatamente ovali, con rughe di espressione nettamente segnate. Si avverte fin dalle prime prove che sull'impianto cubista si è ormai innestata la suggestione delle forme Dèco, assimilate probabilmente durante gli anni dell'attività milanese di decoratore di interni. Successivamente, i volumi alti delle acconciature, tipiche dei capelli cotonati degli anni Sessanta, sono volutamente enfatizzati per accentuare le forme geometriche dei visi e stabilizzare un tipo di ritrattistica che trova difficili riscontri nella tradizione contemporanea.

 

La Divina Commedia

Nell'agosto del 1969 Incerti espone a Cortina D'Ampezzo, dove incontra Montanelli e Dino Buzzati, con il quale inizia un dialogo cotruttivo.
Per Buzzati la pittura di Incerti, visionaria ed espressiva, con le ossessive ripetizioni dei filati di alberi e le dominanti di colore scuro, è particolarmente congeniale alla rappresentazione dell'Inferno dantesco e pertanto consiglia all'artista di ispirarsi alla Divina Commedia per realizzare un grande ciclo pittorico. Accolto l'invito, per oltre dieci anni a partire dal 1968 l'artista dedica il suo impegno alla realizzazione di 103 tele dedicate all'intera Divina Commedia(14), nate da una lettura meditata dell'opera di Dante.
Incerti, in un primo momento, studia le illustrazioni di Gustavo Doré, ma poi se ne distanzia per seguire la propria interpretazione e utilizzare il proprio stile.
Per questa lunga gestazione il ciclo della Divina Commedia rappresenta un compendio di tutta l'opera di Incerti, e in essa si ritrovano tutte le scritture pittoriche utilizzate dall'artista nel corso degli anni, dal realismo descritto iniziale alla fase simbolista degli anni Sessanta e, in particolare, quel linguaggio metaforico venato di astrazione che ben si presta a interpretare l'immaginario del denso testo dantesco dedicato al Paradiso.
Incerti, che viene da una pittura di soggetto sociale, sentita, partecipata, riesce ad infondere uno straordinario spessore umano alla dele dedicate all'Inferno e del Purgatorio, riportando il teso di Dante presente, come se l'uomo odierno potesse intraprednere lo stesso viaggio.
Tutti i temi della sua opera precedente si inseriscono infatti in questa complessa e articolata stesura pittorica, che si avvale di un linguaggio denso di simboli. I dannati e i penitenti sono inseriti in un contesto architettonico che ha somiglianze con le nuove città, con le metropoli nelle quali l'individuo diventa sempre di più un "automa" e il prestito di altri scenari terreni ci conduce ai campi di concentramento, agli ospedali, ai sanatori.
Progressivamente con lo sviluppo del tema, e nel Purgatorio  in particolare, il linguaggio si trasferisce dal realismo verso l'astrazione, con forme circolari che fanno presagire l'avvio verso la parte più riuscita, il Paradiso.
Per immaginare il Paradiso, con le sue ampie e luminose visioni, Incerti sceglie l'astrattismo e compone immagini sintetiche, forme piatte e schematiche, che meglio visualizzano la concettuosità filosofica di difficile traduzione visiva che emerge dal testo di Dante. In particolare Incerti mette a punto una scala cromatica ricca e luminosa, la cui scelta si rilega ad un passo dell'autobiografia in cui ricorda che Gagarin, il primo uomo lanciato nello spazio, aveva raccontato in una intervista dell'epoca che avrebbe desiderato saper dipingere per rappresentare le forme e i colori della terra veduti dal cielo.
L'intero ciclo sulla Divina Commedia è esposto per la prima volta al Ridotto Teatro Valli di Reggio Emilia nel giugno del 1984. Ora le opere sono conservate a Verona, presso il Centro Scaligero degli Studi Danteschi.


Tina Pascarella Incerti

 

Note

1 Il pittore “desperado”, in “Il Resto del Carlino”, 20 maggio 1966.

2 Il “primitivo nato in treno”, in “Il Giornale di Bergamo”, 13 maggio 1966.

3 Franco Solmi, Achille Incerti, Bologna, Tamari Editore, 1966.

4 Il dattiloscritto dell’Autobiografia è conservato da Tina Pascarella, seconda moglie del pittore.

5 Autopresentazione, 13 ottobre 1959, in “Achille Incerti note biografiche”, Verona, Centro Scaligero degli Studi Danteschi, sito internet.

6 Ci si riferisce a un passo degli scritti autografi dell’artista.

7 T. Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra 1945-1957, Milano 1957, pp. 33-48.

8 Si ricorda la presenza di Nello Leonardi all’interno delle Officine Reggiane, e con lui quella di diversi artisti – Guttuso, Treccani, Mucchi, Levi – giunti a Reggio Emilia per documentare la lotta degli operai, che si opponevano al governo e al ridimensionamento di organico. In Nello Leonardi, catalogo della mostra (Sant’Ilario, Gattatico, 1 dicembre – 24 febbraio 2002), Reggio Emilia 2001, pp. 9-20.

9 Leonardo Borgese, in “Corriere della Sera”, 1955.

10 Neorealismo e altre figurazioni, in A. Negri, C. Pirovano, Esperienze, Tendenze e proposte del dopoguerra, in La pittura in Italia, il Novecento/2. 1945-1990, Milano 1993, pp. 148-151. 

11 E. Farioli, Istituzioni, strutture espositive e modi di organizzazione della produzione artistica a Reggio Emilia dagli anni Venti agli anni Sessanta, in Arte e critica d’arte a Reggio Emilia 1920/1960, catalogo della mostra a cura di G. Berti, E. Farioli, U. Nobili, Reggio Emilia 15 ottobre – 13 novembre 1988, pp. 29-35. Tra gli artisti premiati alla prima edizione del premio si ricordano, V. Cavicchioni, G. Gandini, N. Leonardi e V. Poli.

12 Liano Fanti, Tutte le teste a pera del pittore avvenirista, “Paese Sera”, venerdì 15 novembre 1957.

13 Achille Incerti: un vero artista, in “La Gazzetta di Reggio Emilia”, 10 maggio 1964

14 Tutte le opere sono pubblicate nel volume La Divina Commedia dipinta da Achille Incerti, Milano, Mazzotta, 1988.

Opere di pregio

Il Centro Scaligero degli Studi Danteschi e della Cultura Internazionale dispone di una serie di fac-simili di codici e manoscritti, di copie anastatiche, di stampe antiche originali.